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d i a r i d ' a r i a

Corpi perduti e lo scacco all’etica.

Oggi, qui ed ora nella bolgia di una civile simulazione democratica, mi sembra di essere manipolato dentro la scena della violenza, ma essendo figlio di una matrice espressionista mi sento privilegiato nel poterlo constatare e contestare.

Come artista disegno la mutilazione del corpo in una dichiarazione d'intenti che svelerà il gioco al massacro della società contemporanea. È scontato parlare di violenza veicolata con l’immagine, ma il segno duro e crudo delle atrocità in atto e perpetrato contro un popolo di innocenti dal gioco politico universale, mi costringe ad una performance d’indignazione aggressiva e irruente.

Non bastano più stelle e cielo e mare per passare sulla terra leggeri.... il bisogno di contrapporre idee contro la rassegnazione é impellente e continua. Non voglio fermarmi su un tempo scorrevole e vivere in una nicchia protetta dal qualunquismo e dall’assunto “tanto non cambia nulla”.

Lo sguardo “corretto” ed indulgente verso la confusione della comunicazione, si accoppia con il senso politicamente scorretto della conduzione della menzogna.

Io come artista sento il bisogno di arrogarmi il diritto di raccontare drammi e gli sconforti nascosti con un’estetica pertinente al caso/caos: tutto coinvolge il segno e combina i colori. La pulsione dell’istinto di vita mi indirizza a tradurre il buio e la tragedia in paesaggi da esplorare per sapere... non mi piace la presunta innocenza in cui l’arte sprofonda per “far opera di Pilato”, con l’assenza di idee e la stitichezza dei concetti. Mi sento dalla parte di chi erige un moto critico contro l’omologazione e il consenso di tutto verso tutti, e contro il denaro-oro come cattedrale-palestra del mito.

Come essere umano artista, sento di aborrire i poteri arroganti che governano con il senso della guerra, con leggi integraliste e fanatiche, sento di dovere urlare il mio disappunto quando tagliano la gola ad un essere umano perché ha idee contrarie a quelle create da sotterfugi internazionali. Sento il diritto di far urlare i miei personaggi dipinti come portavoce di chi é finito in fosse comuni, di chi sono stati depredati del corpo e della mente per arricchire gli obesi dei sistemi dominanti, di chi è stato vittima di bombe umane, di chi é saltato in aria su una mini-bomba piazzata in un campo di grano dalle multinazionali del terrore protette dal diritto internazionale, di chi é vittima della chiesa che inquisisce e scomunica chi vive l’amore senza perversione e malignità omofobiche.

Sento di poter giocare con le parole per contraddire chi ne cambia il senso, giocare con l’arte per dare valore al non senso della guerra ed intingere la mano nel colore del sangue per dipingere il mio dissenso per i morti innocenti. Mi sembra di riflettere e dipingere su cose scontate rendendomi conto che scontate non sono perché ogni giorno si compiono intenzionalmente massacri ed ingiustizie. Il dramma é che l’abitudine alle notizie di guerre e d’epurazioni di intere etnie diventa la normale colonna sonora del quotidiano.

L’eccezione é il pesce d’aprile che nuota a novembre, la caviglia della velina distorta per un tacco difettoso, le stupide esternazioni di un presidente a vita, l’idiota spacconata del primo ministro…

La letale dipendenza dalla cultura televisiva imperversa.

Quando mi alzo, di solito la mattina presto, m’arrabbio al pensiero che il buongiorno sarà un bollettino di guerra e disastri, che tra un po’ il profumo del gelsomino sarà soppiantato dagli effluvi del biossido d’azoto, il gusto della rucola si impasterà con una salsa di polveri fini e la fragranza della lavanda sarà coperta dalla puzza dell’ozono, che il cibo e la cultura dipendano sempre più da una ricetta stilata con il luccichio televisivo, che il culto della performance sociale soppianti la lentezza dell’amore.

Con un segno in apparenza violento e truce, rimetto sul muro del silenzio uno specchio che riflette il non detto delle notizie quotidiane. Credo nella seduzione-repulsione di ciò che la mia pittura emana al primo scontro con lo sguardo. Sento il piacere di andare oltre l’indifferenza e oltre i concetti estetici e formali, che sono gli stereotipi da abbattere. Preferisco vaghe assomiglianze di persone e di fatti che certezze assolute.

Penso che quando un potere vuole imporre la propria ideologia annientando l'identità dell'opposizione agendo sulla distruzione del corpo tramite tortura, esecuzioni collettive, disfacimento psicologico con conseguente suicidio, bombe intelligenti e non, con tombe preventive e stragi legalizzate: la resistenza è d’obbligo.

Il tempo non é palindromo, non mi permette di andare avanti e indietro come vorrei, allora dipingo con il segno dei prodromi di guerra "l'ombra della memoria" e applico la luce oscura per imprimere al vuoto, l’immagine di chi é scomparso.

nando snozzi

 

(testo pubblicato su "La Regione" di sabato 10 gennaio 2009)

 

 

NONÈORACHE vent'anni dopo

costellazioni e rullio di frequenze subliminali,
chimere lattescenti, suoni da medusa,
sicari in libertà.
Guerre sortilegi e dolore
illuminano il dolore di una società muta.
Il pegno della verità dei naufraghi sfuggiti dall’ultima spiaggia,
è il grido di battaglia di chi non ha più nulla da perdere.
L’aperitivo desolato consola i portatori di strazi
e chi manipola la sincerità della finzione.
Sotto la pelle il brontolio della paura coglie applausi
di giubilo per il coraggio di dichiararla.
La notte rotola dentro la nebbia,
gli occhi ingialliscono per sopprimere la luce del buio,
l’aria è appestata, il tuono si fa secco
e la strada del mutamento è impervia.
Gli artisti depongono attimi fuggenti sotto la lapide
dello scudo spaziale.
Vittime e carnefici senza identità
sono sconfitti da chi gioca con la passione per la vita.
I boia della felicità salgono il podio del sapere e cambiano la storia per ricostruire il passato….
I fiori appassiscono e il letame concima pessimi bulbi,
segni colore musica e poesia svelano
l’intensità della tragedia e il carisma del pericolo.

 

 

si ama la vita ed il suo contrario.
I nefasti inquinatori e i despoti del superfluo,
sdoganano dal vuoto sangue e massacri,
si aggirano guardinghi nelle balze di luoghi ameni,
estendono i loro tentacoli nei quattro punti cardinali.
Producono allucinogeni e macchine ad alto potenziale di morte, nascondono il processo produttivo appaltando parti di produzione in paesi sottomessi e depressi.
caprioli e farfalle, faine e lepri, donne e uomini,
anime amalgamate vagano,
vestite di cenci,
nelle lande dell’attesa di un mondo che sta naufragando dentro guerre intestine.
Pochi sono gli spazi senza storie di sangue e vendette con visioni lungimiranti per la felicità altrui.

 

 

L’amore é un record da battere prima di morire d’inedia.
il sole è sporco, le polveri fini volano,
dal cielo diventato garage di basi spaziali
piove un sudore unto e bisunto.
Vent’anni dopo “che ora non è” il rogo è in attesa.
I sensi si sono sopportati negli anni ruggenti,
un bagaglio di memorie, segni e suoni hanno dato corpo
alla saggezza stravagante che si raggiunge
quanto il corpo inizia a decadere…
ma per una convinzione vanitosa
non si rinuncia alla vita quando la fantasia è gravida.
Lo sconcerto è certo e dietro le nuvole dell’ansia
si annida la paura dei paradisi.
La forza della rivolta e l’inno della disobbedienza civile
devono prendere forma
e insidiare l’arroganza bieca e il giogo del dio denaro.
Incalza il desiderio di capitalizzare l’intelligenza per burlare l’imperialismo dilagante mentre assolutamente nomade transita il dubbio…
affaire a suivre….

 

 

Qui e ora il cervello è un rullo compressore.
schiaccia pensieri per trarne la sintesi delle immagini.
Qui e ora, come dei dinosauri blindati si disattende il buon senso
e si incita l’abuso dell’apparenza.
Qui e ora si condivide l’invisibile della tolleranza non passiva.
Qui e ora si pensa che l’essere umano non e quasi mai all’altezza del proprio eloquio tanto da essere spropositato nell’agire dopo aver recitato il decalogo della vanità.
Qui e ora, si é coscienti di aver vissuto già più tempo di quello che resta da vivere quando la fatalità di un confine umano separa l’abbondanza dalla miseria.
….l’essenza delle lacrime si asciugano nel deserto della risata, i diari di un tempo che non c’è più, giocano ottimi tiri alla pazzia con la forza rigeneratrice della creazione… …
i luoghi diventano altri e uno spiffero di aria nuova ipotizza una piccola speranza per il futuro

 

 

Un canto d’amore perduto irretisce i pensieri.
Orizzonte, frontiera blu notte, cielo nero profondo, terra intonsa.
L’ingordigia del possesso subappalta la vita.
L’odore del vissuto alimenta l’umore afflitto che separa la tristezza dall’eternità.
Il tempo, gli anni, il sesso, la salsedine, la luna, il profumo della salute
le parole d’amore: tutto clandestino
un’era intera ostaggio del potere dell’insicurezza.
pochi ne escono indenni.
Delfini guardiani di un oceano agonizzante,
Elefanti guide turistiche di una savana artificiale.
Su estreme frontiere si diradano le certezze.
Gli amanti sotto i cieli invasi da scorie tecnologiche,
nudi sulla sabbia macchiata di catrame,
sentono i cuori infrangersi in un amplesso ansioso.
Le stelle cadenti inseguono milioni di desideri
espressi da speranze riposte nel nulla.
Gli apostoli della pace svelano gli inganni di amori assenti
mentre un plagio totale corrode l’utopia.
Gli Dei sono celati in dorati pertugi e la felicità per tutti venduta nei supermercati.
I piromani della coscienza perdono i sogni nelle gabbie dorate dell’incubo.
Arte, amore e musica dei sensi, il coraggio delle parole, sorrisi carezze e baci aspettano donne e uomini al di là del bene e del male.

 

 

 

 

LU SCIULEL DAL STRII

L’urlo si alza avvinghiato al vento, l’acqua ruggisce giù nell’orrido…

AL STRII… AL STRII… AL STRII… (leggere gridando)

Vestita di panni scuri strascica i piedi dentro lo strame del sottobosco, porta in sé i misteri del villaggio e le paure dei pellegrini.

Niente di più e niente di meno, la vita scatena gli empi e accumula miserie.

Il coro è selvatico e dentro le caverne dei caproni l’eco dispone una poesia sonora accompagnato dallo zufolo della maliarda

AL STRII… AL STRII… AL STRII…

il corpo della strega, bianco e levigato come il marmo, accompagnato dal diavolo è steso sulla morbida muffa quasi fosse il letto dell’eternità. La donna sogna i riti per passare nella valle leggera… sfida il rogo con il coraggio della paura e sorride a chi deprezza la sensualità degli istinti

fede contro sensi!

i canti d’acqua e di beffe confondono anche il caos delle generazioni, il terreno frana laddove i desideri e la fantasia cessano di esistere.

Il sentiero della transumanza spiana la via ai turisti ignari del sudore e del sangue che hanno irrigato le crepe della terra occultate con il tranello della tecnologia e del cemento.

AL STRII… AL STRII… AL STRII…

Quando la bufera si altera il fischio è lacerante e genera l’uragano nero e grigio che piange tempi perduti. L’assenza di farfalle, la latitanza delle volpi, la scomparsa dell’orso e del lupo hanno ridotto i luoghi dentro i confini della memoria. I ricordi si odorano nei racconti tramandati per forza e diffusi con ignoranza. In fondo alla valle e sulla cima dei monti e dentro i pascoli poche sono le magie: ben venga la stria che allevia fatiche e malanni…

AL STRII… AL STRII… AL STRII…

Odore umido di funghi e foglie “masite”, terra antica, scarafaggi gire e topi, faggi castagne e nocciole, resti di fulmini, rami intricati, rovi graffianti, persone più forti dei massi erranti, cambiano il mondo sulla propria malasorte!

Una malinconia incallita che sdrucciola nella nenia di una malefica ninna nana, culla gli stenti e i dolori che hanno partorito luoghi fantasma dentro sculture eterne.

Processioni e donne in scuro, uomini piegati, giovani spariti, sensi sconvolti su resti di omelie passate sono la scenografia per uno scontro con file, hi pod e hi phone e nasdaq e le previsioni del tempo. In bilico tra grafici televisivi e debordanti tette di mamma tele, magia e proverbi sono la babele della giostra delle superstizioni. il sabba si compie dichiarando che una croce incisa sulla pietra si può cancellare quella fatta nell’aria no! È eterna e invisibilmente immortale.

AL STRII… AL STRII… AL STRII…

 

Il fiume declama la sua legge scorrendo eterno dentro un letto scolpito dalle sue furie e dalle sue magre, è alimentato dal rutto delle sorgenti e si allea con le piogge acide create dalle scorie del cielo e dall’ira degli dei. Dalla buzza esondano favole che raccontano di pipistrelli e di nani da giardino, gli invasori teutonici posano gerani rossi alle finestre bordate di bianco delle case gioiello per allontanare i topi campagnoli e i tafani e le zanzare non ancora tigri… I Lanzichenecchi (scagnozzi dell’ultima ora) pettinano i prati per un’apparenza estiva di ordine e di disciplina. Il circolo è vizioso e le tradizioni sono infettate e la lingua si perde imbastardita dai nuovi codici della comunicazione bieca che inquina il silenzio… Il fischio della strega non é che il sospiro del vento messo alle strette dalla follia umana, I detrattori della cultura si comperano mutande firmate per sostenere la parvenza di un’appartenenza alle alte caste o a casati decaduti e defraudati dalla nuova economia. Usano il degrado morale come prova del nove per costituire il potere e per minare la dignità di chi fa della vita un’opera d’arte. L’impotenza dilaga, il ritorno delle streghe è auspicabile per accendere le pire sotto i pilastri delle cupidigia… Senza ricette e al buio, bisogna mettere in gioco la paura barando sul sesso dei jolly…

AL STRII… AL STRII… AL STRII…

 

la serva del diavolo suona un blues per i fauni in un notte di finel estate che prepara i frutti per l’autunno. volti di-visi affollano il bosco ricercando le anime sagaci della valle che si erano perse nelle ganne impervie regno di cinghiali e capre. Consessi di esseri promiscui recitavano omelie offensive contro i baroni costituiti in patriziati selettivi. Nani giganti e piccoli uomini, bestie da ultimo girone dei dannati, bellissime donne appena velate, schiavi liberati dal giogo della fede inseguivano la salvezza confidando nella forza della natura, regina di uno scenario fantastico e di un immaginato sottobosco… Natura come potenza generatrice che non regala nulla e rimanda al mittente gli sgarbi ad essa perpetrati. Colpi durissimi come botte da orbi, stratempi violenti e confini invalicabili, intralciano i pacchetti turistici propinati ai forzati delle vacanze in tempi canonici. Gli esseri umani pagano dazio con sangue e stupidità rubano e sprecano acqua aria e spazio, non sono figli del presente ma schiavi del futuro, Esseri di umana presenza danno tregua all’avidità e nulla in cambio alla terra-madre. Come angeli sterminatori seducono la ricchezza e ignorano le strategie per l’avvenire senza rendersi amici né il sole né i venti…. Un “dejà-vu” del finimondo è latente nell’immaginario collettivo. Si bruciano i libri e si leggono i programmi televisivi aspergendosi di saperi e sapori fasulli corpi palestrati e obesi. Si foraggia il pensiero revisionista privato che modifica la storia in adulterio e a tresca per perdenti….

AL STRII… AL STRII… AL STRII…

Il menestrello del regime alimentava la paura che il gineceo della valle diventasse luogo di penombra di segreti e di piacere, tanto che l’ineluttabilità della morte ebbe il sopravvento… la barbarie prese possesso delle spelonche misteriose e degli alpeggi i padroni bandirono le parabole e i rituali pagani, la croce divenne scaccia demoni, la falce l’incubo della morte ed il fuoco ripulì i vizi… il peccato ed il fallo entrarono in conflitto e la colpa cercò l’inganno… crebbe la resistenza, armigeri forgiarono le corazze nelle fucine sovversive, i becchi passarono alla resistenza portandosi il loro odore come avanguardia della disperazione, capre e pecore si travestirono da lupi e volpi e la montagna si sconvolse associandosi ai sensi contrari… qui ed ora il film racconta che la leggenda è confusa e priva di logica la verità vuole un altro finale senza eroi e senza vinti oggi impera la mediocrità della democrazia che abilita la competizione e l’ipocrisia, il superfluo e l’opulenza e la vita scorre a valle veloce è lontana in un lampo e subito s’è persa… senza rimedio le reliquie testimoniano di un attimo di follia dove visidivisi volevano ritrovare la propria sorte…

AL STRII… AL STRII… AL STRII…

La banalità del male imploderà nelle parti intime degli affossatori di cultura spappolandogli gli organi vitali… “affanculo i buonisti” urlano gli gnomi travestiti da faine e offrendo un’immagine ad una metafora!!! l’imperatore del nulla declamava il suo credo: “io sono come tu sarai come tu sei io ero!!!” Gli astri, al convegno di mezzanotte, si chiesero: quale dio farebbe un torto cosi all’umanità? Con che coraggio lascia liberi i potenti di stuprare la loro prole? La platea sempre sconcertata spesso aderisce alla stupidità plagia i simboli del territorio mutando le lodi in brodo “chi si loda s’imbroda, chi si loda s’imbroda” AL STRII… AL STRII… AL STRII… dentro le case drammi comuni adombrano la via crucis mezzi incesti perseverano dentro le leggi dell’omertà. Ciò che si pensava fosse un viaggio iniziatico si rivela bieca abitudine di una società senza più ideali e nessuno mai, ne tornerà indenne, a rigor di logica si persiste a farsi del male. Letame e fiori si alimentano nella loro confraternita, le gemme procreano in selva, fieno e terriccio fertilizzano un agreste umore. L’orchestra del bosco profuma di note la storia con crude e brutali essenze.

 

 

 

 

OFFICINE: QUESTIONE DI STILE

Ho scelto di fare l’artista perché ritenevo che era l’unico modo per portare avanti un’istanza di civiltà. Passando quasi giornalmente alle Officine mi sono chiesto cosa potessi fare io come artista per produrre attivamente qualcosa che sostenesse in modo concreto la lotta dei lavoratori. Ho avuto un attimo di smarrimento perché l’unica cosa che mi è venuta in mente è di fare una colletta con la mia scuola di disegno e pittura. Mi sentivo svilito nel constatare quanto il denaro batteva l’arte anche nella solidarietà. Questa riflessione è contraddetta subito dalla mia lettura delle atmosfere all’interno della “Pittureria” perché se dovessi progettare un centro culturale lo vorrei così. Lo sciopero alle Officine ha scosso gli animi di migliaia di persone, persone che si sono stupite di quanto avessero bisogno di essere stimolati per alzare finalmente la testa contro l’arroganza di una società volta alla produzione sfrenata di ricchezza per pochi e miseria per tanti. Alcune persone mi hanno chiesto come mai non facessi niente di “artistico” in questo contesto… da indipendente-precario-privilegiato me lo sono chiesto anch’io, perché di solito, quando c’è qualcosa in cui sento che sono calpestati i diritti fondamentali dell’essere umano, mi ci butto a capofitto usando la mia arte come attrice protagonista per andare contro i soprusi e urlare la mia indignazione. Questa volta ho sentito che la forza trainante della rivendicazione sono i lavoratori stessi perché contano unicamente sul proprio istinto di sopravvivenza, sulla complicità delle loro famiglie e sulla solidarietà trasversale che si è radicata attorno al simbolo sociale che sono diventate le Officine. Diventano loro stessi la locomotiva della protesta difendendo la propria casa madre.
Il senso di precarietà è la strategia che impiegano i manager d’assalto per ricattare i lavoratori, la retorica della pace del lavoro si scontra con il profumo esaltante della determinazione per ottenere un diritto. Le domande che si fanno strada e che generano paure sono: cosa sto facendo? Per chi? Per cosa? Dove si arriverà? Quando tutto sarà finito non sarà tutto obsoleto? La “Pittureria” si è trasformata in risposta, è diventata un un’officina del coraggio; un laboratorio di idee e di etica della vita che si oppongono con fermezza alle prevaricazioni e alla morale di una società liberista spesso ipocrita, malvagia e creatrice di pesanti disagi sociali.
Quando ero piccolo salivo il Leon d’oro con mio nonno o con mio papà (ferrovieri incalliti) che mi portavano a vedere i treni. Quando passavo davanti a questo “parco giochi per adulti”, sbirciavo tra le fessure delle lastre di granito che riparavano dalla strada questo territorio un po’ misterioso. Le cataste-torri di traversine, che spargevano un odore di copale, mi sembravano fortini di cow-boy, la costruzione grande e bella che sembrava una cattedrale la residenza del papa, i vagoni erano le capanne degli indiani, i personaggi vestiti tutti uguali la cavalleria. Sorrido pensando alle miniature create dalla “Märklin” con le quali giocavo “al trenino elettrico”. In quel periodo della mia vita leggevo “I ragazzi di via Paal”, libro che aveva fatto presa su noi ragazzi (adesso over cinquantenni) quasi quanto “Cuore” di De Amicis e se avessi dovuto creare una scenografia per rappresentare il romanzo in teatro avrei ricostruito quello che vedevo tra quegli spiragli.
Questi ricordi mi fanno capire come la memoria di un vissuto e dei luoghi che hanno accompagnato la vita influiscono sull’ istinto che scatena la forza degli impiegati delle Officine per difendere la dignità d’appartenere ad un luogo, e di aver contribuito alla crescita di una regione. Alle Officine si sente forte che l’unione fa la forza. Lo spirito di solidarietà è notevole e la strategia adottata contro i tranelli, i soprusi padronali e le “ristrutturazioni impertinenti e idiote” corrispondono ad un modo costruttivo di lotta contro l’arroganza. Resistere per esistere e tradurre in realtà un sogno che quando diventa collettivo é realizzabile…
La forza degli operai delle Officine è che difendono la memoria ed il futuro perciò la solidarietà del presente è un dovere che una collettività a carattere trasversale deve mettere in atto. Il tutto si traduce in un fatto culturale ed è questo che sento partecipando a questa rivendicazione… lo sciopero come una questione di stile. Uno sciopero che mi sembra organizzato a regola d’arte… uno sciopero come opera d’arte…

Nando Snozzi

 

 

 

I PRODROMI DELLA MORTE: LE VOCI INSISTENTI DEL NULLA

Testo scritto per una conferenza su:
La malattia e la comunicazione tra medico e paziente
Riflessioni di artisti e medici sulla tematica
serata allo studio foce: org. René Jungreithmeier


Questa è la storia di Lui e Lei, che non inizia con “c’era una volta” ma con un appunto che spazia dentro il nostro tempo e chiaramente accorciata sui dettagli e sulla sofferenza. Lui doveva fare uno sforzo di memoria molto forte per ricordarsi gli episodi della sua vita vissuti come un’appendice di disagi psico-fisici.
Il racconto poteva partire dalla paralisi ostetrica che gli é stata procurata durante il parto da uno sbaglio clinico, causato dal medico assente per negligenza, e da un’indecisione sul fatto se salvare sua madre o lui. Per onestà della leggenda bisogna anche specificare che i ricordi non erano suoi, perché evidentemente non poteva ricordarsi il momento del proprio parto e non aveva mai praticato la terapia della rinascita per rivivere quel momento in quanto molto scettico su questo tipo di cure. Tutto era messo assieme dai vari racconti parentali che vertevano verso un sentimento astioso contro l’apparato ospedaliero di cinquant’anni fa e contro il padre non presente per sbornia.
Si salvarono entrambi ma lui ebbe la peggio in quel momento ritrovandosi un braccio sinistro bonzai, sua madre il peggio se lo procurò quarant’anni dopo suicidandosi.
Riguardo alla sua paresi ostetrica si può dire che l’aveva superata alla grande anche tirandola in ballo quando occupava un posteggio riservato agli invalidi…. Era abbastanza che mostrasse il braccio all’aggiunto di polizia di turno che gli toglieva la multa con un senso suo di imbarazzo.
Non percepiva nessun contributo d’invalidità, forse anche perché non l’aveva mai chiesto, ma anche perché, pare, che non ne aveva diritto causa i troppi diplomi. Lui poteva vivere basandosi sulle proprie forze e senza altri bisogni pecuniari, (queste decisioni sono sempre state prese avallandosi da certificati medici richiesti dalle autorità competenti per pararsi la loro posizione da eventuali ricorsi).
Lui portatore di handicap (adesso si dice diversamente abile) verso i trent’anni ebbe la curiosità di sapere se la chirurgia avesse fatto qualche progresso nella cura delle paresi e dopo diversi consulti gli consigliarono un intervento. Gli negarono il contributo invalidità per l’operazione chirurgica perché non era a carattere reintegrativo (sempre secondo un parere medico) L’operazione avrebbe migliorato la modalità prensile della mano sinistra. Per un colpo di fortuna dato da una dottoressa in formazione molto arguta, l’intervento non andò in porto perché Lui avrebbe sempre avuto il pollice a forma di gancio con il pericolo di inciampare con la mano in tutte le sporgenze e soprattutto sarebbe stato molto infastidito nelle pratiche erotiche.
Un’altra contraddizione di diagnosi medico-assicurativa era quella che avrebbe potuto percepire l’invalidità se avesse simulato di avere mal di schiena causata dallo spostamento della colonna vertebrale per il troppo uso della mano destra (quella buona). Lui non simulò entusiasmo per simili consigli e chiuse la parentesi AI.
Le voci inesistenti del nulla indicano che una vita con un’etica misurata quotidianamente con la realtà non è praticabile causa la fragilità dell’essere umano che riappare sempre dal buio in cui si nasconde il confine tra la legge e l’illegalità, tra il bene ed il male.

I prodromi della morte possono essere elencati negli altri episodi da lui vissuti come destino o come situazioni del caso-caos della vita.
Vent’anni fa alla sua compagna gli fu diagnosticato un Linfoma non Hodking dietro lo sterno, un grumo molto aggressivo che sua moglie combatté con chemioterapia e con tutti i mezzi a disposizione tipo: visualizzazione di un esercito di globuli benigni che combattevano contro le cellule cattive, cena con amici, ironia, autorizzandosi a star male e accettare la malattia in quanto tale e non come castigo di dio o di condanna perché il cancro era l’addensamento dei problemi esistenziali.
Dopo un anno, a cura finita e con un sentimento felice perché le analisi e le radiografie indicavano la remissione del tumore, furono convocati per la lettura dei dati della tac finale. Nel corridoio dell’ospedale un dottore frettoloso e non simpatico comunicò loro che erano state riscontrate delle metastasi nei polmoni e che alla signora rimanevano pochi mesi di vita.
-Mi dispiace sarete convocati con urgenza per discutere il da farsi, mi dispiace! arrivederci.- disse il medico annunciatore e se ne andò racchiuso dentro le sue spalle.
Lei e Lui rimasero un’attimo interdetti.
Lui e Lei non capivano cosa gli fosse successo e si trovavano in un attimo in un’altra situazione di vita tragica e sconosciuta. Durante il decorso della malattia e durante il tempo della cura Lei si sentiva investita di uno scopo che era quello di guarire e Lui quello di aiutarla nella resistenza, adesso la morte incombeva imminente e lo sconforto era la loro musica dell’anima. Lasciarono il buio corridoio dell’ospedale reso ancora più lugubre dalla mancanza di sensibilità e dolcezza con cui furono informati dell’aggravarsi della malattia e andarono in mezzo alla campagna piena di sole. Si può tralasciare la descrizione del dramma che vissero in quei momenti, tra pianti e impotenza, tra angoscia e ansia con il dipinto della morte annunciata come luogo abitativo e come conforto la colonna sonora del nulla.
Lei e lui, si diedero da fare e si informarono tramite varie conoscenze, nell’ambito medico ad alti livelli e riuscirono ad avere un appuntamento nel tempio della cura del cancro e nel caso specifico con un’eminenza a livello mondiale. Si trasferirono per un periodo in un'altra nazione in questa città-ospedale.
Lei dovette passare tutta una serie di esami medici in cui ci fu un aneddoto tragicomico. L’ospedale era diviso in settori e i pazienti ricevevano un contrassegno con codice a barre che dovevano esibire ad ogni passaggio.
Il corridoio dell’ospedale era lungo e diviso in camerini dove i medici passavano a turno. Il primo degli assistenti del primario entrò nel camerino e iniziò a controllare la donna alla gola, palpandogli il collo e la nuca in modo automatico.
Intervenne Lui chiedendo perché praticavano questo tipo di controllo.
Il medico disse che se la signora aveva un cancro alla gola non potevano guardarle il piede….
Lui disse:
- ma guardi che lei non ha un cancro in gola!!!-
e volle controllare la cartella clinica malgrado le ritrosie-proteste del medico .
Lui si accorse che era il dossier di un altro paziente.
L’inghippo fu chiarito addossando la colpa alla burocrazia, senza che nessuno si scusasse. Soprassedettero sulle conseguenze che questo sbaglio avrebbe potuto avere se Lui non fosse stato determinato nell’insistere per controllare la cartella.
Gli esami continuarono per tutta la giornata e alla sera c’erano già i primi risultati che indicavano che la signora era guarita e che le macchie che si vedevano nella tac erano delle cicatrici di piccole ferite prodotte da una sostanza che era usata nella chemioterapia.
Dopo il terzo giorno fu chiarito che la diagnosi era sbagliata e che c’era stato un grossolano errore di lettura della tac da parte del primario di radiologia.
La signora a questo punto poteva essere dichiarata guarita perfettamente e in netta ripresa malgrado l’angoscia e la paura procuratagli dalla falsa notizia.

Lui e Lei scrissero alcune lettere e tentarono approcci esplicativi per almeno ottenere delle scuse per le paure passate ma si trovarono davanti ad un muro impenetrabile, ad una arroganza avvallata dai sentimenti di onnipotenza che si attribuisce la classe medica (per fortuna non tutta). Infatti, dei medici molto gentili e non affetti di deliri da semidei, consigliarono di lasciare perdere perché non si sarebbe approdato ad alcun dato di fatto …. i medici mai si sarebbero sconfessati tra loro…

A Lui e Lei rimase scoperta una domanda: se avessero fatto parte di una categoria di persone meno abbienti che non avessero avuto la possibilità di avere contatti e consigli autorevoli che in certo qual modo hanno spianato la strada per accedere velocemente a dei privilegi medici come sarebbe andata la vita?
I medici sono da considerare come taumaturghi (operatori di miracoli) invischiati nel sistema di un potere che ha a che fare con la medicina?
Oppure, facendo della retorica un’arte e schiacciando l’occhiolino al dr. House:
è meglio un medico che ignora un malato in via di guarigione, che uno affettuoso con un moribondo senza speranza…

Come conclusione si potrebbe dire che grazie alla loro forza, per fortuna o per destino e grazie alla chemioterapia Lei e Lui stanno vivendo felici perché Lei è viva. Se la passano più o meno contenti nel limite del possibile che permette il mondo contemporaneo.

nando snozzi 2008

 

 

 

LA FURIA DEL DESTINO: OPINIONI ATTORNO A UNA SCELTA O DECIDERE LA RESISTENZA

testo scritto per una conferenza di “medical Humanity, fondazione sasso corsaro”
attorno al un mio “quadro pirata” 220 x 220 cm olio si tela


Spesso ci sono 2 porte d’accesso ad ogni cosa. Quando si scatena l’insicurezza è difficile varcarne una. Per le aspettative della vita si è comunque obbligati a scegliere o decidere una via… a questo punto il problema prende forma…. Scegliere o decidere? La situazione di vita in questi frangenti diventa come uno scioglilingua, come un puzzle dove i pezzi sono discordanti.
Il destino fa capolino come entità che scioglie i nodi e come depositario delle responsabilità.
Il percorso della vita è una prognosi riservata in quanto ogni secondo che passa è diverso dall’altro, si forma il destino in un crescendo libero. Le scelte e le decisioni sono accessori che si adattano al caso e al caos che l’essere umano ha a disposizione come luogo abitativo.
Anche le lucidità delle riflessioni attorno al tema sono determinate dalle porte di entrata che si sono oltrepassate. Le porte della paura e della speranza, le porte della fuga e della sopravvivenza, le porte del dolore e della gioia, le porte della salute e della malattia.
Io ho scelto-deciso o era destino che diventassi artista?
La porta che oltrepassai quella sera era la voglia di fumare una sigaretta. Non avendone più e non potendo comperarne dato l’ora tardissima, ne chiesi una ad un signore che veniva verso di me sulla strada, come se sbucasse dal buio. Avevo 19 anni ed abitavo a bienne e lavoravo come contabile in una fabbrica di lancette per orologi. Il signore, vestito di nero e con i capelli lunghi, dal mio accento capì che ero ticinese e mi disse:
- tieni fuma questa che ti farà bene.-
Sentii il gusto strano del fumo che scendeva nei polmoni ma non dissi niente. Non avevo mai fumato uno spinello di erba e non sapevo neanche cosa fosse. L’uomo mi invitò a casa sua. Il suo appartamento era un’espolosione di colori, era un arcobaleno impazzito che ti prendeva dentro la sua pancia e ti centrifugava la vista. L’uomo mi disse che era un professore di matematica e che, per riassettare il suo pensiero quotidiano e per resistere all’abitudine, dipingeva. Mi chiese cosa facessi come lavoro e mi offrii un’altra sigaretta strana e una grappa.
-Contabile- risposi.
Lui mi chiese di rimando:
- ma non hai la sensazione di buttare via la vita? Non ti sembra che vivi nel grigio dei numeri e nell’ esaltazione del profitto?-
La frase, aggiunta agli spinelli e ai fumi dell’alcool, mi fece scoppiare in un attimo la mia impostazione di vita. Le idee che supponevo fossero le sicurezze legate al posto fisso al guadagno assicurato si rivelarono un peso colossale. La scelta obbligata, scontata di un lavoro addossatomi da una condizione fisica speciale divenne un abito di forza.
Sentii campane suonare in testa mi venne voglia di urlare e mi sembrava di scappare senza mettere distanza dall’inseguitore….
La nottata fu all’insegna dello sbando.
Il giorno dopo andai a lavorare. Per raggiungere il mio ufficio dovevo passare lungo la riva di un fiume.
Sfregai la mano destra sul cemento del muretto che costeggiava la scarpata finché mi procurai un’abrasione e quando arrivai in ufficio presentai al capo la mano ferita e l’altra con la paralisi ostetrica e gli dissi che non potevo più lavorare.
Diedi le dimissioni seduta stante e me ne andai….
Iniziai a dipingere il giorno stesso e cambiai vita….. Ma questa è un’altra storia…..

 

Un giorno di qualche anno fa ero incolonnato sull’autostrada del sole, davanti a me stava sbuffando una vecchia volvo con un gancio per il traino della roulotte protetto da una pallina di tennis.
Tutte le volte che vedo una pallina da tennis mi rammento di questo quadro….
Dalla pallina iniziai a costruire una storia d’immagini chiedendomi da dove proveniva. Immaginai una partita finita fuori campo e la palla, che rotolava nella cunetta di una strada di periferia, fosse raccolta da un ragazzino che stava partendo per le vacanze con i genitori. Poi immaginai gli abitanti della volvo che mi sembravano fossero 4 più il ragazzino. Due donne e due uomini. Io percepivo solo i bagliori della nuca delle due signore dietro e le ombre della testa degli uomini davanti. Ogni tanto la manina del ragazzino appariva nel lunotto. Alla prima stazione di benzina il padre (capospedizione) si accorse che mancava la protezione del gancio e colse la palla al balzo. Si fece dare la pallina dal figlio la tagliò e la mise come cappello al gancio di traino.
Attorno all’auto dalle targhe che non ricordo, iniziarono a danzare sull’asfalto animali e personaggi che sembravano uscissero dai miasmi del gas di scarico. Seguivano una danza indicata da un semaforo impazzito che non rispettava nessun colore convenzionale, la linea divisoria della corsia era un’infinita indicazione di divieto. Disseminata da un tocco di fantasia la scena diventava delitto o castigo, teatro della commedia umana o delirio da autostrada.
Il coltello si trovava li perché era caduto dalle mani di un contadino che fuggiva da un’abigeato, suo figlio si era abbarbicato sul suo petto per questione di dipendenza forzata… la girandola era brandita come scettro di comando da un re pagliaccio che voleva apparire come un buon genio ma non si autorizzava ad esserlo…
Le altre comparse giocavano alle belle statuine senza colonna sonora.
Sorpassai l’incidente che causava l’ingorgo, grave abbastanza da giustificare lamiere contorte e autoambulanze, polizia e paura diffusa, e continuai il viaggio…
Ciò che doveva accadere sarebbe accaduto, tutto com’era destino che fosse….

 

Sono stanco di lavorare di fantasia, non mi soddisfa mai, vorrei chiedere alla realtà di legarmi sulla strada della vita, ma non riesco a formulare la domanda giusta e finisco sempre per svicolare dentro tunnel creativi per proteggermi…. vorrei essere sulle piazze dell’universo ma sono sparite sostituite da camere virtuali. Sembrerebbe che oggi si é costretti a dimenticare per vivere e non ricordare nulla. I sogni diventano un delirio pericoloso perché istigano alla ribellione. Uno scrittore, autore della Commedia Infantile, un giorno mi ha detto: siamo vittime della nostra impotenza e precipitiamo verso il nulla.
La condanna è sempre applicata al diverso e le differenze mostrano le paura dei gerarchi. I ricchi moriranno protetti nei loro bunker ed i poveri moriranno liberi all’aria aperta:…. vite diverse stessa fine!

Nessuno da la caccia al nulla se non è obeso di denaro, il volo dei perdenti ha le ali mozzate. Un ritmo costante martella le ore del giorno e la terra d’origine é depressa e contaminata da una mania di decadenza. Le rughe di un’ entità globale solcano il corpo della società e le cause e gli effetti si perdono in percorsi di pulizia etnica e burocrazie parlamentari.
Come una danza inquietante sibila il vento dentro città, boschi e pianure e una sinfonia si perde sopra la nebbia del mare. Dentro il crogiuolo della lingua di Babele intingo lo strumento per disegnare e dipingere la diversità come regina del dubbio. Le religioni attecchiscono sia nei forzieri dell’oro che nei bidoni della spazzatura e la fede muove masse inestimabili…
L’etica risponde male alla morale perché la morale spesso è ipocrita…
A questo punto il discorso si fa pericoloso e sarà un affaire a suivre….

 

 

26.04.2006. FRASI USATE NEI MOTORI DI RICERCA PER ENTRARE NEL MIO SITO, 153 FRASI CHIAVE DIVERSE E ASSEMBLATE CON LIBERO ARBITRIO E MODIFICATE CON LICENZA POETICA.

Vent’anni dopo Tchernobyl, i pregi ed i difetti dello scorpione, denunciano storie d’incesti perpetrati nelle banche dei centri di potere.
Lugubri rintocchi di campane di vetro, squittiscono imitando i cerberi delle pantegane.
La casa nel giardino del bene e del male, mette a disposizione l’amore come sorgente della felicità. Ripensamenti e follie dell’alta moda provocano l’Attila universale, e come barzellette di una guerra infinita finiscono nel testo di una predica metodica e paradossale.
La semina di un orto virtuale provoca squilibri genetici.
Colori acrilici ed economici stendono velature opache e offuscano la lucentezza di simboli strafottenti.
Piangono a ruota libera le prostitute di colore di una via crucis razzista e fratricida in cui i sentimenti optano per un Pilato che non contesta una rilettura del tradimento di Giuda.
In una piazza dove il blues tocca l’anima tra fiumi di birra, la riproduzione degli scorpioni é limitata dall’inquinamento della foce dove nuotano le foche, giocoliere di equilibri diversi.
Oggi ho una spalla rigida che si riperquote su sentimenti minimi per il mondo: ho sguazzato troppo nella bile di artistiche installazioni.
Una silente bambina guarda con urla silenziose un ipotetica vita; presume che é più sicura pensare di costruirla sui ricordi del passato che su supposizioni futuristiche.
Ho sognato immagini di anaconde copiate dal vero e vedevo il volto della sofferenza dissolversi di fronte a paure grossolane.
Come scorregge senza nome e silenziose, le immagini, formavano il senso della vergogna ed una borsa di studio sarà elargita dietro corruzioni e supplizi.
Sospesa in un non luogo, una melodia ha come protagonista un suono di una tromba che fa piangere un’emozione potente.
Un trance ritmico é buttato come composto di una sinfonia morta, gli animali sorridenti ne approfittano per mangiare i resti rifiutati da pance stracolme.
Dentro le vallate solitarie di insediamenti metropolitani, le donne si masturbano con animali guardati dagli uomini con la bava alla bocca. Sono testimonials per macchine da caffè, per gustare aromi strani, per indossare scarpe con e senza tacco, per fumare....
Le donne sono usate per veicolare gli effetti secondari di orgasmi planetari e superficiali legate alla pubblicità delle multinazionali della pornografia soft... dove l’uomo si spara la sega della staffa...
Rinchiuse nel danno pubblicitario il piacere e l’erotismo assumono il valore di un’estetica elitaria e succube di un concetto di vita irraggiungibile. Gli orgasmi sono paragonati al possedere auto superdotate, ad un nescafé esotico con pappagallo e superfiga calda e dalle labbra turgide, ad un corpo anoressico e prigioniero del tubo catodico. Gli uomini stuprano le vittime dei loro feticci e incastrano il loro pene nelle pene dell’anima in una solitaria corsa verso le bugie della pubblicità e l’apoteosi del consumismo.
Un corpo resuscita la poesia in una performance interattiva.
Dipingere dal vero il coniglio del macellaio si fa un torto alla pasqua perchè si perdono le uova della ressurezione e nel tempo in cui Lazzaro scappa, il figlio di dio compie il miracolo di salvare il mondo e sprattutto i tesori accumulati con le carneficine delle guerre sante.
“Les mots de la Boheme” mi inducono a sentirmi bastardo dentro e compagno di Harry Potter, mi rimettono in pista per traforare pregiudizi e cavalco la mia inquietudine usando frasi riflesse dentro lo specchio del martirio. Chiaramente dipingo poesie maledette disegnate con l’ombra delle mani ed il verbo é sempre mutante, abiuro e rinnego, do fuoco a scuole e mantengo la fiamma costante della mutilazione primaria.
Guardo foto multietniche e mi accompagno a razze sconosciute riconoscendo parole e amuleti, capezzoli turgidi e sessi scoperti. L’ansia pura attacca gola e lingua impedendo alla saliva di umidificare la ragione che resta nelle tripes a languire finché la nostalgia placa l’anima sul far dell’alba.
Incontro le aquile della steppa che si liberano in acrobazie contrarie alle costrizioni date dai rapporti del “cantiere ARTE” e mi sento come Cristo spogliato in tempi di guerra.
Come una sintesi del Corsaro Nero tento di andare all’arrembaggio ma mi accorgo di creare solo cartoline per una solitudine duratura da ingrandire all’interno di un curriculum vitae.
Vivo dentro un atelier di pittura che fa da cornice per un corpo sovrappeso, tra facce tristi e sorridenti, visidivisi tra pasolini o orson welles, in contrasto o in armonia con petulanti pollini di primavera.
I rapporti tra esseri umani si giocano tra serietà e seduzione, tra penitenze erotiche ed esperienze pluriennali. Gioco la vita come accoppiamento bestia tra me ed un surrogato d’avventuriero e mi destreggio con il passato che affonda sulle soglie del futuro.
Gericault ha dipinto la zattera della medusa con l’infoiamento dei sensi e sbalzi d’umore, con la passione straripante e la ragione esaltata. Io ridisegno foto di strafighe calzanti bugie comuni, inventate dagli spioni di congreghe segrete.
Tra canali televisivi con 200 metri di tette, la pittura si erge su confini diversi con versi all’origine del dubbio, con disegni di guerra nella casa della luce e con il disturbo di una ciglia nell’occhio.
A volte mi vedo costretto a lottare con gli enigmi della percezione per far fronte a misteri storpiati ad attitudini da fiche bagnate, a ritmi blu, ai torti della pittura, agli sfregi da metacarpo, e senza togliere niente al mio segno brut mi sottometto alla maschera del racconto.
Femmine stilizzate, maschi brutti sono modelli che tolgono la traduzione a linguaggi intravisti sotto le gonne dell’infanzia.
Scopate magiche, cazzo in bocca, nuove scoperte tecnologiche, animali immaginari, le complicazioni della felicità, i paesaggi come palude del reale, le poesie della settimana, orwell 1984, sono i premi messi in palio con un gratta e vinci legati al concorso della previsione del giorno della morte.
Spesso mi sembra di volere volare dentro la biblioteca della casa dell’enciclopedia, dove le parole costituiscono il tesoro del sapere e mi perdo, ma senza avere la sensazione di non più ritrovare la strada. Mi sembra di avere un’indomita bussola in testa che mi guida nella direzione del circo dei sogni. Io poi, che non ricordo i sogni, non devo neanche sobbarcarmi il peso di raccontarli.
Mi accontento del mio albero genealogico, che supponevo in odore gitano e ramingo, rivelatosi sorprendentemente teutonico e lanzichenecco e neanche tanto barbaro.
Mi piace l’idea che la fantasia libera la testa e per ciò cerco di alimentarla ed esserne il protagonista.

Dinosauro Blindato (Nando Snozzi) 2006
terra dello scorpione

 
ARTISTA NON PER CASO MA PER SCELTA

Vorrei poter parlare bene di te cara Helvetia, vorrei iniziare a praticare la “vera arte” consigliata da alcuni tuoi tribuni e da alcuni tuoi senatori, vorrei aderire alla moralità espansa che viene diffusa dai tuoi consiglieri, per non cadere nel tranello tesomi dai cattivi soggetti che si sono permessi, dentro e fuori i tuoi confini, di esternare idee seducenti ma perverse che hanno (a loro dire) sporcato la tua immagine. Sogno di potere ergermi a tua guardia del corpo mettendo a tua disposizione la mia fantasia. Vorrei prenderti come mia musa per poter dipingere la tua anima ed essere fiero di riconoscermi nei tuoi valori.

Purtroppo il tuo eroe Guglielmo Tell é diventato anche il mio, si é opposto ai balivi, aborriva gli arroganti e i venditori di fumo, era pronto a sacrificare il sangue del suo sangue. Oggidevo fare attenzione a cosadico e a cosafaccio perché altrimentiinciampo controqualche losco figuro pronto a difendere le proprie malefatte in tuo nome. Così mi vedo costretto ad aderire a ciò che il mio istinto mi indica. Devo rivoltarmi con dolcezza e con rispetto per non scuotere i sonni tranquilli dei tuoi paladini. Quindi cercherò di praticare un ‘arte che non sia la cosmesi di ciò che il sistema produce e che non diventi la la panacea che addobba i salotti di chi non sputa nel piatto che condivide con te, ma che si riempie di te, accontentandosi di essere obeso d’ignoranza.Spezzerò il pane raffermo con altri artisti (molti) che donerebbero parte dei loro averi per salvare gente in difficolta, berrò con i sensibili alle difficoltà di gente obbligata a fare di necessità virtù. Sempre rispettando il tuo nome continuerò ad essere prima di apparire, a vivere dentro il mio tempo ed alimentarmi di cultura oltre che di cibo. Visto che sono un grosso artista (circa 125 kg) avrò bisogni di molto e certe volte sarò anche eccessivo come un mio confratello che é emigrato nella “ville lumière” e che sta predicando i tuoi pregi e i difetti di chi ti usa. Cara Helvetia ti garantisco che non sono pericoloso anche se esprimo idee sanguigne o “idee contro”. Ti garantisco (e questo lo affermo come un pregio) che so ascoltare. Peccato che dentro il tuo grembo sentimenti di onnipotenza e di “mastri censori” si stanno sviluppando, scatenando le frustrazioni di un potere arroccato a difendere le proprie sicurezze dietro una demagogia benpensante e che si difende dalle critiche al loro fare insulso, con slogan che minano la libertà artistica e la libertà d’espressione. Cara Helvetia con questo fare, alcuni tuoi paladini, mi danno ragione di esistere, creando dei precedenti inquietanti che mi danno ispirazione per dirigere la mia pittura come attrice di questa grande tragicomica commedia umana. Visto che ho fatto dell’arte lo scopo della vita, devo stare all’erta e reagire contro questi tristi tempi e dipingere e dire ciò che in me sento.

 

nando snozzi 16 dicembre 2004

 

 

….OPPURE COME ARTISTA MI SENTO UN PO’ BASTARDO

E RESISTENTE ….

Ho notato, leggendo i quotidiani e captando sussurri e sguardi del cortile sudalpino, che la sensibilità di alcuni signori é stata toccata dalla foga voluta, di una dichiarazione d’appartenenza alla cultura e dalla stesura di pensieri riguardanti la libertà d’espressione. Mi sembrava che i signoriavessero una statura interiore sensibile alle onde del discorso ed una base critica ampia per soprassedere ai dubbi derivanti dal sentirsi traballare le certezze dentro la calotta cranica. Se la domanda che ci si pone per capire il mondo artistico é scoprire la differenza estetica ed il peso dell’animatra il sorriso della Gioconda e l’orinatoio capovolto di Duchamps é legittima,il problema che sorge é che chi pone la domanda non vuole una risposta né si mette in una disponibilità d’animo per entrare nella discussione. Una sana risata dedicata all’arte sta nel fatto che la società attuale le considera capolavori ambedue “targandole” a suon di soldi.Mi sento un po’ bastardo ad avere dei pensieri impuri e velleitari dentro i confini della neutralità helvetica,luogo in cui posso operare artisticamente libero, senza dividere gli “spettatori d’arte” in serie A e B. Ho un po’ di paura che il calore dei prossimi inverni, nelle case della madre patria, sarà ottenuto con la brace di libri e quadri e spartiti, e ironie e fotografie e film e poesie e idee che non corrispondono al pensiero dominante. Questi signori aderiscono all’assunto che il futuro non deve più essere una promessa ma una minaccia e si sentono abilitati ad essere portatori di colori rossocrociati e abitare dimore democraticamente addobbate. Mi sento un po’ bastardo a dover difendere la libertà d’artista e non censurarmi l’ansia e la gioia, il colore ed il segno, la paura ed il coraggio, la poesia e le lacrime. Mi sento un po’ bastardo a constatare che il mondo é soffocato da guerre ed ipocrisie, da gente che soffre la fame e subisce arroganze di ogni genere per produrre ricchezza per pochi. Questi mali non sono provocati dalla libertà che gli artisti si autorizzano a vivere né dal loro contrastare le idee di chi questi mali li provoca a scopo di lucro. Inoltre è opportuno rammentare, a chi intende cultura come altoparlante dell’idea dominante, cheledono ferocemente l’intelligenza dell’essere umano tentando di imporre i comandamenti dell’arte. Ionon sento di commettere peccato mortale se non voglio essere gregario di nessuno. Sentendomi “la storia addosso”, alimento con le immagini, la discussione attorno al concetto di “società multiculturale”. La ferita inflitta ultimamente al principio della libertà d’espressione,é l’inizio di un lungo processo che verterà verso l’intolleranza e la repressione psicologica. L’effetto subliminale già impera e deteriora il gusto e lo sguardo, basta constatare l’impoverimento globale a tutti i livelli dentro e fuori la pelle dell’essere umano e l’inizio dell’eliminazione a scopo economico delle cattedre d’italiano e del greco dai templi del sapere.

Mi sento un po’ bastardo perché i miei interessi artistici-politici-culturali non aderiscono all’esaltazione della potenza di un fungo nucleare (spiegata senza simulare pudore su un settimanale prodotto da una società leeder nel campo del consumo) ma semmai ai pericoli che esso comporta. Non riesco a simulare entusiasmo per prediche preventive ed epurazioni storiche preparate per depistare il futuro, ma mi adopero per diffondere sentimenti di mediazione e pace. Mi irritano le voci stridule che istericamente si chiedono che mai farà come lavoro “vero” un essere umano che ha scelto la professione d’artista. Non condivido chi sperpera giudizi di valore su produzioni artistiche avendone solo una “veduta” parziale ed irrilevante e basandosi su voci, immagini, e informazioni distorte diffuse a scopo perverso, e mi metto a disposizione per sguardi“altri” sull’arte.

Mi sento un po’ bastardo perché, visto la precarietà che abita il “fare arte”, mi sorgono sentimenti d’impotenza, di rabbia, di fronte alle catastrofi immani che succedono, mentre i signori che si sostituiscono all’onnipotente sciorinano ricette tradendo tradizioni e buon senso proponendosi come antidoto al pessimismo. A me sembra carina l’idea di contribuire a diffondere l’idea di uno sciopero artistico condotto a regola d’arte. I solitisignori, sentendo questa proposta, saranno probabilmente contenti. La mancanza del prodotto artistico (di cui una trasparente minimissima parte pagato con soldi pubblici) non renderebbe più tranquilla la loro assenza ma la loro vita sarebbe profilata a loro immagine e somiglianza. La madre terra piomberebbe dentro la sua ombra, al buio senza colori, immagini, musica e poesia, e forse io riderò attaccandomi all’idea di essere bastardo anche nella morte perché porterei dentro l’idea d’aver vissuto...

 

nando snozzi 27 dicembre 2004

 

 

 

IPOTESI PER UN DELIRIO FUORI NORMA 2003-2004

Testo scritto per la mostra “Art Brut” al palazzo delle Orsoline nel 2005, organizzata dal Club socioterapeutico dei pazienti (Club 74), della Clinica Psichiatrica Cantonale di Mendrisio in collaborazione con l’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale (OSC) e il Dipartimento della Sanità e della Socialità,

 



Per me dentro di me oltre la mente
il suo corpo su me come una coltre
ma oltre il corpo in me furiosamente
in me fuori di mente oltre per oltre...

da “Manfred” di Patrizia Valduga

 

.....il signore é matto.
Interpreto liberamente il titolo del film di alfredo knuchel e mi lancio in un viaggio mentale che certe volte mi mette addosso una paura sorridente! Quando dipingo non penso e quando penso riesco a leggere le differenti immagini che mi creano lo spazio per separare la follia dalla realtà. È lì che raggiungo l’equilibrio che mi autorizza a dipingere e fare dell’arte lo scopo della vita. Il centro del processo creativo attizza il fuoco che incendia i colori, da forza al segno, e coraggio alle paure. Passo all’atto di dipingere e di-segnare, scandaglio l’essere umano e sento il mio corpo come strumento e la mente come voce sussurrante. Non ho mai concepito l’arte come passaggio obbligato per integrarmi in una società devastata da conflitti marcescenti e abominevoli, che fa del disadattato oggetto per lavare le coscienze e riciclare i sensi di colpa. Una società a compartimenti stagni che concede quel tanto che basta per inventare fiori all’occhiello per dipartimenti che hanno come filosofia l’arroganza economica.
Stringo alleanze con il diverso e cerco la complicità con il disadattamento strutturale, probabilmente irreversibile, che striscia dentro la linfa della Madre-Terra.
L’arte e la follia in ogni caso disturbano e sono sempre stati considerati come gemelli siamesi, per il potere stabilito insozzano l’immagine benpensante e sono confinati alla fetta esistenziale deputata per la beneficenza e la deficienza. Il mondo è ammalato in tutta la sua anatomia e non certo per colpa di chi si trova a dover assorbire-subire le conseguenze della malattia, ma c’é qualcosa nella sua organizzazione politica che é depistato e occultato e rubato già dalla nascita. Io vivo l’arte e la coltivo, la seduco e mi lascio sedurre, non l’abbandono e non mi sento abbandonato. Viaggio da una follia fuori legge ad una vita fuori norma e rientro nelle regole per una “convivialità” che regge il quotidiano svolgersi della giornata. M’interrogo sulle frenesie determinate da discorsi che hanno sorretto e sorreggono i contenuti dell’espressione creativa. Domande che ruotano attorno agli stati d’incoscienza, alla coerenza di un preciso porsi nel campo dell’arte e dentro l’etica di una denuncia esplicita disegnata ad arte. M’immergo nella moltitudine di terapie supposte e accostate all’espressione creativa passando nel cunicolo della pratica quotidiana della creazione e constato che una grossissima difficoltà ad accettare la libertà che può essere donata dall’arte é creata dalla pretesa di potere di un essere umano verso l’altro.
Navigando dentro “l’art brut” come un’artista brutale sento la fatalità del destino. È un viaggio da dove non si ritorna indenni, ma il danno che comporta la partecipazione a questa avventura é appassionante e stimolante per una resistenza ai dictat e alle censure e per partecipare ad una controinformazione allargata sui temi esistenziali, spacciati sempre più come optional di filosofie televisive monopolizzate.
Rivaluto con insistenza gli strumenti delle “Belle Arti”: pigmenti rari e finemente macinati, oggetti non nobili e riciclati clamorosamente, mani sporche, pennelli, tracce della vita d’ogni giorno, carta, tela, supporti apparsi improvvisamente davanti allo sguardo, ...... per ri-conoscere mondi e modi, suplizi e gioie, eroi destituiti e assassini glorificati, passati accanto per anni appena dietro al punto di vista. Ascolto la musica delle rotture con convenzioni estetiche, grafiche, politiche e stimolo le ossessioni che crudelmente assaltano sguardi assopiti. La follia del rituale pittorico placa le ansie di una coscienza di sè castrata e corrotta da promesse di vita perdute. La sperimentazione di materie sconosciute apre lo scrigno di tesori posseduti ma svalorizzati, i disegni contrappongono proiettili vaganti a bersagli sicuri e cantano inni dove l’arte procura libertà. I luoghi di costrizioni diventano laboratori d’idee e i valori emotivi dei gesti rispettano la spontaneità della mano e della mente. Casualità e sembianza, scelta e impotenza, liberta e costrizione mi accompagnano nell’esplorazione delle visioni.
Questa é la vita altra!
Nella mia pratica pittorica l’art brut rappresenta una “misura di controllo” per la descrizione gloriosa della disobbedienza e la rivalutazione dei miserabili. Navigo nella fascia dell’espressione creativa, dove l’ufficialità della cultura storce il naso, ben contenta del “tocca e fuggi” che, per “noblesse obblige”, costruisce nel presenzialismo. La pratica dell’arte come scelta di vita diventa “un quasi normale” mezzo di denuncia di un’alienazione sociale, viaggia in bilico su binari dei binomi potere-sapere, significato-significante. L’azione artistica attraverso un’applicazione pratica costante mi crea delle chiavi di lettura importanti, dove l’artista e lo spettatore entrano in uno spazio di gioco costante nel quale sguardi e svelamenti convivono e si lasciano “nell’estetica della strada”, si irritano e si strusciano nel rituale della seduzione, tutto in un movimento convulso causato dal sentimento d’insicurezza globale.
Cosi va la vita!
L’arte ha un potere di ridare alla natura dei sentimenti ciò che gli è stato tolto dalla capitalizzazione del prodotto artistico. La perversione della firma sull’opera d’arte distorce la forza del suo contenuto. Affermo la forza dell’atto creativo che, come interrogazione del terrore e della serenità, dell’amore e dell’ossessione, delle dipendenze e di emblemi provocanti, incita la follia verso l’equilibrio o l’ afferma in quanto tale. Il valore della visione e l’inconscio collettivo, l’essere umano come gestore di un dominio pubblico, le paure del peccato mortale legate a doppio filo con la memoria, gli abusi di potere opposti alle teorie della trasversale del perdono, spronano l’arte ad esserci per resistere. La transizione delle scelte e delle decisioni da affrontare al cospetto dell’arte, provocano una situazione d’attesa in cui l’attimo creativo mi trasporta in un mondo irreperibile da chi non é soggetto ad un’apertura al dubbio. La rigidità mentale del potere della società contemporanea, invischiata in una pornografia obesa e zuccherata tenta di inzaccherare ed erodere gli spazi della creatività a favore di “pacchetti d’arte e spettacolo normodotati a scopo di lucro”. L’audacia della creazione, (in complicità con disobbedienze liberatorie) se ascoltata e considerata e praticata e giocata e autorizzata ad esserci prima di apparire, lascia vivere le contraddizioni e orienta l’anima verso una leggerezza del ciclo vita-morte.

 

nando snozzi, terra degli scorpioni, ottobre 2004

  < > , 11.01.2009
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