Chi pensa sia necessario filosofare deve filosofare
e chi pensa non si debba filosofare deve filosofare
per dimostrare che non si deve filosofare;
dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui,
dando l’addio alla vita, poiché tutte le altre cose
sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui.
Aristotele
L’atelier Attila presenta per la prima volta un’esposizione collettiva. Mirjam Zani e Roberta Piemontesi, abitano nello stesso territorio, praticano vite diverse e si espongono assieme nella diversità. Hanno intenti uguali, ma dichiarano segni ed immagini diverse. Mirjam e Roberta si lasciano pensare dall’esigenza creativa e la sentono come amica e ne diventano le esecutrici, seguono un istinto, lo studiano e lo segnano su superfici adeguate ad ospitarla.
Mirjam dipinge la civetta che nella mitologia greca era sacra alla dea Atena simbolo della sapienza, dell’intelligenza razionale e delle arti. La civetta vola come metafora (o alter ego?) nei suoi dipinti e ogni tanto si camuffa da gufo. Mirjam (madame Hibou) esplora la situazione greca ascoltando il rebetico, un blues mediterraneo che canta la rivolta e legge i blog di chi fa controinformazione. Unendo le memorie di un suo passato in cui si è sentita intrappolata, alla situazione del popolo greco che subisce il mal di vivere, si è ritagliata uno spazio creativo e custode del proprio tempo vitale. Con la sua pittura e i sui particolari segni, crea un alfabeto di immagini dove si sente la ricerca di uno spiraglio di luce nelle parti di un mondo che è rimasto troppo al buio nella tragedia umana. Territori imprigionati nel circolo vizioso di sotterfugi e disastri economici creati dai manipolatori del dio denaro. Mirjam pensa la pittura come presenza costante nel suo quotidiano. Sensazione che si legge nei suoi dipinti che accolgono una tensione ironica, poetica e critica di frammenti di un sud del mondo sempre sottomesso alla rabbiosa esistenza di chi persegue l’accumulo delle ricchezze. Dipinge lacrime che diventano forse fiori di speranza sotto lo sguardo della civetta, che attende la caduta dei cattivi con occhi che cercano dove si è cacciata la fortuna dei dannati. Assembla su tavole di legno, le effigi dei filosofi e il sentimento dell’unione delle arti, come forza di diffusione di speranza e di disobbedienza civile per riconquistare il diritto di vivere dignitosamente ed esigere la libertà di espressione, il diritto ad essere felici o almeno di poterlo simulare, per non perdere la fiducia in un futuro democratico e resistere al crollo delle illusioni.
Roberta disegna “Soggetti” con un segno ripetitivo e costante che a volte si perde in uno spazio senza orizzonte. Su carta, con grafite e velature colorate appaiono figure con espressioni latitanti ed asessuate. “Soggetti” ambigui che si contrappongono a modelli stilisticamente conformati da regole e mode, da convenzioni e paradigmi attestati. Roberta è insegnante stilista e quindi vede l’altra faccia dei sui disegni e ne sente la risonanza nel mondo reale. Roberta disegna dentro spazi senza palcoscenico esseri umani che sembrano sottratti all’estetica patinata e trasmessi in esilio e in sospensione come qualcosa in divenire. Forse a guidare l’istinto nel segno di Roberta è l’inevitabilità di controllarlo, come se cercasse di aprire gli occhi ad un essere umano accecato per risarcirlo di una vita persa. In un processo di disegno seriale i “soggetti” è come se avessero il tempo a debito e che il credito stia per esaurirsi in una società ipersessualizzata in cui donne e uomini sono esclusivamente sottomessi alla seduzione. Le teste in tridimensione dei “soggetti” sono costruite in modo sghembo e distorto modellate fuori asse e contenitori di urla e silenzi in modo da interferire con il linguaggio delle forme della tendenza in voga. Teste riposte in modo naturale come hanno voluto essere, forse tra il sonno o l’attesa del viaggio perenne. I supporti cartacei dei disegni di Roberta sono spazi di sosta e di attesa per delle figure che si perdono e si ritrovano, che si recano in un posto a loro assegnato per costruire una storia magari segreta o magari che si rivelerà da sola.
Nando Snozzi 2014