IPOTESI PER UN’UTOPIA 2017
Prologo: Clandestini sul palco rosso; una sincronia di segni, suoni, parole dentro i territori dichiarati appartenenti all’arte e alla musica
Azione scenica con
MATTEO MENGONI – MUSICA
NANDO SNOZZI – TESTI E PITTURA
(Foto di: Milena Keller, Beo Beltrametti, Sara Pellegrini)
… erano immuni da ogni minaccia
vivevano il pericolo come naturale percorso.
I prati erano verdi, uniformi come lastre di smeraldo.
L’orizzonte era attaccato al cielo
con il dubbio di essere un intruso.
Le nuvole cambiavano forme ininterrottamente
e orgogliose di essere talami per santi
e tranelli per i sognatori.
Al tramonto sciabolate di luce
mettevano le ali colorate creando miraggi …
BALLATA D’AUTUNNO
Lui detestava le infradito.
Nell’adolescenza della terza età
aveva una passione per le serie televisive con
attrici nelle quali si identificava.
Voleva essere un pastore di tartarughe, mangiava senape spalmata sul pane
e formaggio accompagnato da mostarda.
Aveva smesso di fumare perché si era accorto di obbligarsi a farlo.
Con un sentimento aristocratico aveva optato per mantenere
la gelosia oltre la barriera del pericolo.
Credeva che gli si fosse spezzato il cuore, ma poi si era accorto che era un muscolo che
pompava sangue e doveva tenerlo sotto protezione!
Gustando asceticamente pietanze autunnali
attendeva un domani migliore.
La vita gli prospettava una storia con voce stridula.
La pazzia di un momento euforico spingeva il tramonto in alto mare.
Lui era salpato dalle deviazioni esistenziali, con una nave che galleggiava sulle molestie
dell’ideologia, i tormenti inutili mitigavano le reali implicazioni della vita.
L’ansia del risveglio scivolava via, i balocchi con cui suppliva
gli affetti mancati, li buttava nell’inceneritoio dei ricordi (brutta fine).
Il sorriso scopriva smorfie che riproducevano sul suo viso l’età effettiva.
Le superstizioni non lo liberavano dal dovere e dalle paure varie.
La notte pensava di accarezzare i capelli alle stelle, percorrendo la
Via Lattea come se fosse il tragitto principale per la felicità.
Era un essere umano grosso e fragile.
Il suono di un piano vibrava nell’aria mentre il mare vomitava le porcherie di ogni esercito.
Lui pregava Nettuno di non abdicare perché avrebbe tolto il mistero degli abissi.
Voleva fare l’amore con la nebbia nella notte scombussolata dai colpi di frusta.
Le lucertole cantavano spaventate sognando cactus nani colmi di succo della vita.
Lui, seduto sul suo scoglio preferito vedeva, esausti e allineati sull’ultima spiaggia,
i reduci delle ultime guerre,
perse sempre prima di iniziarle.
Le soldatesse lasciavano intravvedere delicate e bianche caviglie diventando
mortalmente femmine.
Lui voleva dormire ma il sonno fuggiva.
Mani fatate disegnavano diaboliche urla.
Lei, dolce dama di un paese selvaggio, arrivò in un giorno qualunque,
accompagnata dal suo amico bestiale e dalle sue personalità altre.
Indossava indumenti intimi rossi con fiorellini gialli e gioielli di oro antico.
Lo prese per mano e lo condusse sul suo corpo dove passeggiavano scorpioni.
Si videro riflessi in uno specchio posizionato sopra il loro talamo,
nel quale c’era già scritta la loro storia.
Come amanti senza fede in un’era cupa,
evitarono il baratro dell’avidità e della bramosia sfrenata.
Si chiesero se avessero trovato una tomba o una culla.
LUI, IL VECCHIO
Lui, il vecchio, raccoglieva castagne,
la schiena curva, le mani ad artiglio,
il cervello gremito da un’idea fissa.
Era portatore di un allarme
continuo nelle orecchie
come prova in caso di catastrofe.
Commemorava una scomparsa
non ancora svanita nell’ombra dell’età.
Si considerava la metafora
di un oscuro cannibale
e di un sesso perdente.
Il bosco scivolava nel lago
impedendogli la sete d’avventure.
Lui da giovane sparò un colpo
in testa all’oroscopo.
Lo scorpione si pulì del sangue astrale.
Pensando che l’utopia era squarciata
aspettava uno ieri dopo il domani.
La sera, sfoltendo i ricordi, si gustò le caldarroste.
MEDITERRANEA
(35 anni dopo) ore 10.30
Sguardo dietro il quotidiano, tonalità del sud,
ironia e desiderio sono raminghi tra le rughe
di un viso amato.
Racchiusi negli sberleffi della diversità
abitavano le paure tenute al collare.
Io, pittore dal verso surrealista piangevo in sordina.
Immagini fisse, ruggito del leone, ululato del lupo.
Ciak: si gira!
Ore 17.45.
Nei giri di giostra, tra rischio e fortuna,
andava in scena il turpiloquio
dei delinquenti con parrucchino.
L’utopia era in attesa.
Dissidente e tentatore l’epico sorriso
del ribelle mi ispirava cumuli di parole
e cervello sereno.
Nel centro del bersaglio forse
si farà all’amore.
Ore 23.55.
Attesa.
“VECCHIA STORIA SI RIPETE”
Mi sentivo libero di ascoltare la musica del sonno profondo
e scivolavo su onde dolcemente increspate.
La natura digrignava i denti e interrogava le assurdità
della violenza insita nel calvario dell’umanità.
Pensavo che, leggendo i graffiti datati illo tempore
e ascoltando le storie tramandate oralmente,
avrei capito che mai c’era stato un tempo di pace.
L’ebbrezza della vita era data dalla sua instabilità.
ll mio sguardo si perdeva tra le boccate di fumo di una sigaretta.
Sulla spiaggia gli scarafaggi cantavano un’inquinate canzone
inneggiante alle gesta dei sacchetti di plastica,
dei preservativi e dei mozziconi.
Una scarpa che aveva perso la sorella era la seconda voce,
la carcassa ben levigata di un cetaceo morto chissà dove era la scenografia naturale.
Un selvaggio interlocutore mi aveva sollecitato a scegliere
tra un’esistenza da gregario o una vita da Pirata
oppure tra un’utopia sommersa e un’utopia salvata
STORIA DI LEI
Primo tempo – Il passato.
Lei voleva essere la figlia della tempesta con tuoni e lampi come amanti.
Aveva gli occhi asciutti come il deserto.
Si innamorava quando lo decideva.
Era curiosa e ascoltava le onde dell’aria ed il vento dell’acqua
ed era convinta che le fiabe rubassero la verità.
Si rese conto di essere una maga,
ostaggio delle parole che le usurpavano il pensiero.
Una mattina si svegliò nel suo letto di ortiche,
iniziò a sfogliare il quotidiano e il curriculum vitae di tutta la specie umana
e si rese conto della nuova guerra diffusa
che impertinente era la protagonista della storia.
Nel cielo volteggiavano i falchi d’acciaio,
gli gnomi protestavano per avere risorse sessuali più basse
e le fate turchine volevano l’abito da sposa rosso fiammante,
le figlie del Grande Tentatore, da perfette meretrici, pretendevano
un codice etico che regolasse le loro perversioni.
Lei voleva incitare la vita a diventare un decalogo della felicità,
ma riusciva solo a sussurrare il suo desiderio nell’orecchio del suo orsetto d’infanzia.
Lei era dolce come il miele e si intrufolava negli sprazzi di libertà
che intravvedeva sul suo sentiero.
In situazioni assurde vestiva gli abiti da pazza in modo da evitare
i controlli per i normali cittadini dell’universo,
infatti aveva sempre un tappeto rosso da calcare sotto i suoi piedi nudi.
A colpi di cuore scolpiva l’amore e le fantasie erotiche restavano segrete
dentro i limiti della sua creatività e si chiedeva se l’utopia le fosse negata.
Secondo tempo – il presente.
Lei cerca i canti della vita, cerca le danze del tempo, cerca la musica del cuore.
Lotta contro la dedica fasulla incisa invisibilmente
da un contabile sulla fronte con acqua santa.
Purtroppo trova solo i residui dello sfacelo avvenuto prima della sua nascita.
Si incupisce e mette in atto istintivamente la forza della resistenza e la luce della passione.
Si scaglia contro i predicatori che formano gli schiavi della gioia
per favorire i possessori del benessere e di chi tramuta la sporcizia in oro.
Per sfuggire alle normative di una società patinata si camuffa
e rotola nella melma come un porcellino.
Converte l’immondizia in speranza e ne trae energia pura.
Incita a contrapporre alla produzione ad oltranza di tutto,
l’eliminazione dello spreco.
Lei vuole essere principessa senza aristocrazia,
vuole essere bestia senza la cattiveria umana,
vuole indossare l’eleganza dei sentimenti,
vuole eliminare la coscienza rovinosa della prima colpa,
vuole eliminare la rassegnazione subdola della gente meschina.
Lei desidera una figlia ma è disturbata dall’indecisione che vanifica una scelta.
Non crede ai torbidi miracoli veicolati dai santi predecessori,
protagonisti delle preghiere che vuole dimenticare.
Vuole un impeto intelligente per affogare la noia scatenata da conoscenti parassiti.
È una bella giornata e Lei scende in strada,
un neonato urla dentro il passeggino ultratecnologico con GPS.
Seduti nelle terrazze dei bar nella “neoprimavera preestiva” i turisti bevono
birra e inalano polveri fini di un’aria sempre convalescente.
Nei casuali incontri, tra persone diverse,
le conversazioni vestono un linguaggio meteorologico…
brutto tempo…oggi piove domani nevicherà… chissà se ci sarà vento
io preferisco la tempesta… benedetto sole…..
Lei si siede su una panchina fronte lago e legge la notizia
che è finita l’emergenza lupo perché ha passato la montagna,
viaggiando in altri territori.
Lei, che si sentiva un po’ selvatica e amica della bestia, sorride.
Terzo tempo – il futuro.
Si dovrà vivere sopportando i ricordi del passato.
Si dovrà essere attenti agli scudi stellari e all’invasione dei droni,
controllori di ogni azione, di ogni parola e di ogni segno.
Si dovrà imparare tutti i trucchi più sofisticati per travestirsi
in modo da essere sempre irriconoscibili.
Bisognerà inventare nuovi idiomi per indurre in inganno
chi vuole carpire le intenzioni altrui.
I cervelli dovranno essere sgargianti e pronti a procacciarsi linfa vitale
e giostrare in modo onnipresente tra: margherite e pastis, soldi e birra,
carne e champagne, conchiglie e orzata, oro incenso e mirra senza i Re Magi,
escrementi e platino, uomini e topi, cielo e mare,
la Signora Nessuno con la sua amara Metà,
San Nicolao della Flue e Maddalena, i falsi e le fotocopie,
l’elefante e la memoria.
Non si potrà rimanere perplessi di fronte a nulla,
ma reagire con abilità e furbizia contro i prevaricatori di ogni tipo.
Bisognerà sfuggire ai tagliatori di lingue,
abilitati ad asportare dalla cavità boccale l’organo muscolare,
ricoperto di mucosa che serve per lanciare parole e per selezionare gusti,
che partecipa al meccanismo della masticazione e della deglutizione.
Il futuro sarà la preparazione alla risposta della domanda:
chi saranno i protagonisti della risata corale finale e del circo dell’utopia dell’arte?
BRACCIO DI FERRO.
20° giorno del quinto anno. Ore 08.15.
Si svegliò nella camera piena di luce.
Il sole era un gradito compagno.
Lei si sentiva di creare.
Aveva l’orgoglio dell’artista.
Recitava la sagra della vita con l’immagine diffusa.
Voleva essere una filosofa del sesso.
Era cullata da una tristezza quasi sovversiva.
Enunciava il tragico momento dell’evasione da una prigione dorata,
raccogliendo le sue lacrime in uno scrigno di cristallo.
Fuggiva da un periodo infelice, scrivendo oziosamente un diario
che nessuno avrebbe mai letto, se non il suo macabro fantasma prediletto.
Dalla finestra entrava un’aria di fiume.
Si ricordò di aver sognato un teschio gigantesco
che si prestava come nido di cormorani e pipistrelli.
Si alzò e chiese la colazione in camera.
Si apprestò a vivere senza intenzioni suicide.
Era Utopia.