Progetto in corso che si comporrà di:
- Un’esposizione di disegni, dipinti, e istallazioni.
- Un’azione scenica con in scena musicisti, attrici e attori.
- Un libro composto da capitoli, con immagini e racconti che testimonieranno la memoria e l’attualità, di un percorso pittorico tratto da una lettura intima della società reale, virtuale e fantastica, con delle sorprese che succederanno nel percorso realizzativo del progetto..
“Ipotesi per l’ultima spiaggia, dove l’arte ha il dono dell’ubiquità.
2019-2021” é un diario in immagini e parole alla ricerca dell’ultima spiaggia.
Passo dopo passo transito nei territori obbligati della decenza e della coerenza (nel limite del possibile). In modalità furtiva e sospettosa sgaiattolo e oltrepasso le terre del Covid19. Negli spazi di notizie sempre provvisorie mi introduco dubbioso. Tento di evitare i focolai di infezione fisica e mentale, fiutando tranelli di una società compromessa e maligna. Come un ladro eludo le telecamere di sorveglianza (nel limite del possibile),
Spesso sono in competizione con i diffusori di crassi giudizi: come il Diavolo e l’Acquasanta, come i dubbi e la certezza, come la legge e la giustizia. Percepisco l’atmosfera che diventa sempre più lugubre e il distanziamento sociale che assurge a ordinanza giornaliera.
Tutto cambia rimanendo uguale, si combattono i poveri invece che la povertà e i disagiati invece che i disagi e la peggiore parte dell’essere umano è sempre incinta.
La nuova normalità diventa “Normofollia”…
Prologo….
COVID19 é un capitolo composto da testi e da una serie di dipinti che si iscrivono nel progetto “IPOTESI PER L’ULTIMA SPIAGGIA, DOVE L’ARTE HA IL DONO DELL’UBIQUITÀ”.
Nessuno
Visi di visi diversi sperduti in un contesto globale, sconosciuto e ostile.
Nessuno è immune e l’ignoranza dilaga senza confine.
Persone diverse di diverso colore urlano aiuto a una platea sorda, obesa e sgradevole.
Nessuno è indispensabile,
nessuno ….
Persone acquattate ai 4 punti cardinali attendono l’accesso all’ultima spiaggia,
sono alla mercé di esecrabili personaggi affetti dalla sindrome dell’IO MINCHIA*
che fanno danno al genere umano. In una congrega ristretta si giocano la pelle
della terra madre.
C’è in giro un razzismo diffuso, come un virus subdolo e maligno, che discrimina
i disperati
condannandoli a una disperazione maggiorata dalla Storia dimenticata.
Nel tracollo dei divi, le rughe si sono affacciate improvvisamente allo specchio, la sorpresa mi ha colto in un momento di fragilità e l’immagine rimandata è difficile da accettare. Il tempo è passato veloce e troppo veloce è il tempo per assimilare il nuovo io…
Il viso è diviso tra la memoria e il futuro incerto. Senza sicurezze previste, mi sento e mi ascolto di fronte ad un infinito che è sbarrato e sul punto di finire male…
Una domanda sorge come una saetta:
di chi ci si può fidare?
LA VITA È VIVA, È D’OBBLIGO RESISTERE!.
*Citazione da: Carlo Emilio Gadda,
Nell’appendice al Giornale del settembre ’19, “Vita notata”(1),
(1) “Il folle narcissico è incapace di analisi psicologiche, non arriva mai a conoscere gli altri: né i suoi, né i nemici, né gli alleati. Perché? Perché in lui tutto viene relato alla erezione perpetua e alla prurigine erubescente dell’Io-minchia invaghito, affocato, affogato di sé medesimo.”
La forza della natura
Mi sono messo in competizione con l’utopia nel momento in cui mi sono sentito impotente di fronte agli eventi che sorpassavano ogni logica della ragione e stravolgevano la realtà.
La terra sprofondava all’inferno e i dittatori egomaniaci si travestivano da diavoli e si
autoproclamavano padroni delle idee.
I loro scagnozzi spuntavano come funghi velenosi dalle pozzanghere che si
formavano con il disgelo del permafrost. Vestiti come funzionari subalterni, impiegati
nelle multinazionali malavitose, si divertivano a fare gli untori usando ogni porcheria
creata distruggendo le oasi del pianeta.
La natura si rivoltava mettendo in atto le sue difese e nessuno riusciva a imbrigliare la
sua forza.
Sono considerazioni banali e basiche ma restano irremovibili nel mio pensiero, perché
non ho nessuna dimostrazione di un buon senso ribelle che mi rassicuri da parte di
tanti esseri umani, che continuano a riprodurre e riproporre fino alla nausea schemi di
vita televisivi orripilanti.
Apprendista della fatica di sopravvivere e dei ricatti economici, mi è difficile avere un
pensiero che verbalizzi e sostenga qualsiasi previsione. Mi consolo creando immagini
del qui ed ora che (in prima istanza) mi sembravano indescrivibili.
Anche se noi ci crediamo assolti siamo lo stesso coinvolti.(liberamente tratto dalla “canzone del maggio” di Fabrizio de André”)
È una riflessione sul periodo attuale che sto vivendo e che non avrei mai
pensato di vivere.
L’io narrante si muove tra i viadotti della memoria, dove ristagnano odori che
fanno rifiorire ricordi e suoni e che risvegliano immagini. Visi rinsecchiti come
mummie e visi colmi di forza, volti freddi come lapidi e volti misteriosi come
sabbie mobili creano una società di inafferrabili individui, nei quali non posso
riporre alcuna fiducia a prescindere. Soffiano venti indecifrabili, indiscreti e
continui. Il tempo, come un indigesto giorno di mezza primavera, passa leggero
sulle teste senza corpo. Senza prospettiva e visioni sociali all’orizzonte, l’essere
umano sfiorisce, la firma del futuro si disegna.
Il decalogo dei silenzi Clandestini.
(da visidivisi in territori diversi)
Mi stupisce l’ossimorico rumore silenzioso,
il non detto eloquente mi mette in ansia.
Come un clandestino il mio discorso è silente
e l’effetto che procura è diverso per ogni
persona che ascolta.
Mi disoriento tra rumore e melodia, tra suono e musica,
mi oriento davanti ad un bivio prendendo
contemporaneamente le due strade.
Il silenzio di Dio è vigliacco e crudele davanti ai drammi e
ai disastri che succedono sotto l’egida delle menzogne
create nelle stanze blindate dei poteri planetari.
Le stanze del silenzio totale sono inimmaginabili come l’infinito.
Cerco nel silenzio l’estensione della paura e della speranza.
Elaboro la sensazione della morte e ascolto il silenzio della vita,
affinché diventi un’idea.
Clandestino e anonimo, depredato dalle radici
vagavo in un paesaggio sconosciuto.
Ero al limite del nulla,
vagavo su prati freschi di rugiada.
Sconsiderato era il mio piano di fuga,
mi sentivo libero di sparire,
di unirmi con l’anonima folla dei disadattati.
Mi mimetizzo con degli artifici d’arte
n/s 2018-2020
Un testo dormiente sotto pelle
(io me la cavo!)
Nell’era della “nuova normalità” preferisco scegliere la “normofollia”.
Nello specchio della vita possono abitare contemporaneamente l’orrore e la meraviglia.
Guardando la mia immagine riflessa, mi sorge una domanda: la mia nascita fu un inconveniente o una gioia?
Non avendo un pensiero unidirezionale, i miei pensieri giocano al gatto e al topo e a guardie e ladri, in una corsa estrema dove il perdente ci lascia la pelle. Io me la cavo pensando in grande e penso ad una risurrezione del mio io, negando l’al di là, la via celeste e l’autostrada per gli inferi. Il presente mi tiene per la gola e per l’arte. Penso che la paura sia necessaria per contrastare l’arroganza e la delega all’altro della gestione del mio territorio creativo. La paura porta suoni e immagini che aiutano a uscire dalle frontiere dell’era del terrore. Agisce, tramite attori e scenari, in modo patetico, subdolo e spregevole, ma reale!
Io me la cavo, perché il pensiero della morte fa parte del mio “dipartimento dove si ragiona troppo in un colpo solo”. È un pensiero che arriva alla chetichella, alcune volte sorridendo. Come pro memoria mi afferra, mi apre gli occhi sul buio, mi fa rivedere e ripensare i progetti. Mi stimola a gustare la lentezza.
Io me la cavo e non accumulo rimpianti, sfuggo l’isteria dell’ammassamento, e dilato i pensieri.
Appunti per la serie:
“IPOTESI PER L’ULTIMA SPIAGGIA, DOVE L’ARTE HA IL DONO DELL’UBIQUITÀ”.
…Tutto iniziò con un’anestesia del sistema globale,
l’assenza del controllo delle discendenze del nepotismo e dei poteri vari,
era gestita dalla congrega della “Mano Morta”, un’associazione a delinquere globale.
Sulle teste dei ribelli si estendeva l’ombra dei politici amanti delle armi …
Il pensiero nascosto disegnava la caduta dei simboli.
I giochi erano finiti con l’urlo senza ombra e la spasmodica
attesa liberò le anime dai sacrilegi.
Il padre, il figlio e lo spirito ingrato, mettevano in atto
il tragico rituale che sfocia nella tragedia,
spesso inflitta per tradizione nelle famiglie dissociate.
Erano tutti coinvolti nell’impunità diffusa e scivolavano nella bieca indifferenza!
Lei era Bellissima aveva una sensibilità rapace e un portamento leggiadro,
era un’immagine di altri tempi riflessa in uno specchio universale.
Dirigeva un coro potente, preparava una festa ribelle in spazzi aperti e collettivi,
sott’acqua e in cielo.
Barrivano gli elefanti, le aquile sorvegliavano le cime e i delfini danzavano nel mare.
Era una grande tribù in un movimento sacro e profano,
si alimentava negli androni del mondo, nei deserti e nelle foreste,
nelle metropoli e nelle terre dei ghiacci.
Una tribù che era complice della Madre Terra per combattere i delinquenti inquinatori seriali e i razzisti compulsivi.
Una tribù alla conquista dei sogni, della luce e dell’ombra.
Si spera che la speranza, sta negli occhi di chi guarda, scruta, riflette e agisce….
Affaire à suivre…
n.s.2019-2020
DIARIO GIORNALIERO COSTRUITO A MISURA DI ESSERE UMAMANO (dettagli – tecniche miste su carta – metri 25×0.20)… continua…
Sono disperso nelle nebbie colore sangue sbiadito di questo territorio piccolo e fragile dove solo l’effimero é eterno. É mia consuetudine inoltrarmi in riflessioni e immagini che non comprendo ma che lascio scorrere nel luogo in cui particelle della memoria, mi ribaltano e mi depistano. La paura mi suggerisce di camuffarmi in vento e di volare sopra la cappa del destino.
Approdo sull’ultima spiaggia reale e anonima. Il tempo é lento e veloce, pericoloso e frantumabile, diventa un soggetto indecifrabile. La sabbia fine accarezza i piedi. Luogo è ipotetico ma verificabile, dove tutto é possibile e realizzabile con le idee e la fantasia. Interagisco con dei personaggi ibridi che si alimentano, scegliendosi il genere per poi estinguersi o diventando irreversibili. Mi accorgo di essere ostaggio di territori e misteri, ingestibili e utopici. Sono in costante ribellione contro una deformazione della società meritocratica e pusillanime e che ostacola il vivere quotidiano.
Assieme ad esseri viventi dall’anima animale, suggerisco tempi senza terrorismo psicologico, ricatto economico e con assenza della nostalgia dei tempi passati. Mi ribello contro un sistema che ostruisce lo spazio in cui depositare gioie e dolori e che alimenta il giudizio costante dei sensi di colpa e gli sbagli intrapresi o subiti.
Incontro Lui che viene da terre lontane, da anni ci incontriamo nella terra di nessuno; non é «dei nostri» ma é il più umano di tanti. Ha il sorriso nascosto che sembra un urlo ed è accompagnato dal compagno cane dallo sguardo solidale. Indossa una tripla ombra dove ha imparato a rifugiarsi in caso di bisogno. Gli sgherri alimentati da una ferocia razzista agiscono in branchi perché sono codardi e senza cultura.
I tempi sono difficili se li affronto da solo!
Realtà e utopia sono il terreno di scontri e di innamoramenti, di delusioni e di speranze, di rudimenti secolari e di visioni sorprendenti.
In certi giorni di assenza di stimoli mi basta il profumo di una natura ancora viva e la visione della macchia mediterranea che sconfina nel mare per riattivarmi energie sopite. Oppure un paesaggio urbano mi sussurra una storia e subito un sentimento esaltato e una carica positiva mi attivano un passo dopo l’altro per entrare nella giornata.
Il mare era nero, le nuvole basse color cenere, la strada che lo costeggiava sterrata e polverosa, le canne e gli oleandri accarezzate dal vento diffondevano profumi colori e sussurri. Era un tragitto selvaggio e abusivo, riservato a bracconieri e latitanti. Mi spaventai al grido stridulo di galli senza ne cresta ne barbigli, prigionieri in uno sgangherato pollaio delimitato con reti metalliche di diversi letti. Mi immaginai un assemblaggio assurdamente reale in una corte sghemba e al limite del tracollo umano.
Coloro le nuvole con dei riflessi d’oro, indosso un po’ di follia come fonte di
sapienza e matrice ponderata dei miei disegni. Le scorciatoie della vita mi hanno insegnato a vanificare le angosce con la ragione del buon senso.
Lavorando nel campo dell’arte nulla mi è garantito a parte un alleggerimento delle paure e rafforzare la cognizione che il mondo sarebbe più triste senza cultura. Sorrido pensando al mio zoo di animali guida ai quali rubo la forza selvatica.
Mi sento intrappolato in una morale censoria e in una imposizione di intenti, riesco a figurarmi una sessualità lontana dal reale bisogno. Certe volte mi trascino in pubblico e in privato, in modalità inadeguata e ingombrante. Mi consolo perché nessuno se ne accorge e presuntuosamente mi descrivo rassicurato come se fossi un uomo diverso.
Tengo un diario quasi giornaliero come contenitore di pensieri per sfuggire a un vuoto di memorie che mi fanno piombare in un vortice di claustrofobia e di paure. Scrivo di quello che conosco e invento quel che non trovo. Un diario, depositario di tentativi, per dare un senso al tempo e per dipingere un immaginario di vita invisibile a sguardi incoscenti, ma che mi riconsegna varie speranze.
Persevero il mio viaggio in compagnia di un’Arte asservita, non ai fasti del potere, ma a una trasmissione di riflessioni, cosi, semplicemente per appagarmi a…
Il trapasso dell’ignoranza è molto più sviluppato che la condivisione della cultura.
A dipendenza da risveglio, mi sento un idealista in un mondo cinico. Indosso una maschera sardonica e mi presento con un viso diviso tra rancore e passione.
I Barbari erano persone non “civilizzati” (termine per me non negativo).
I violenti odierni sono sociopatici (creature pericolose), portano avanti rapporti finché sono convenienti, disprezzano norme sociali e veicolano razzismo e omofobia. Il tutto presenta conseguenze inimmaginabili supportato dall’indifferenziato televisivo e giornalistico.