A Nuova York, Carolina Marcacci Rossi è nata. Ci è rimasta pochi mesi.
Dopo cinquant’anni è ritornata e ne è rimasta affascinata. Dipinge le sue impressioni, gli incontri e le riflessioni che la Grande Mela le ispira. Compone il quadro a strati come se costruisse una dimora per i suoi pensieri. Sceglie le carte e gli oggetti che le servono per costruire la scenografia di un teatro dell’umanità e poi le applica sulla tela. Disegna i personaggi ed infine colora e manipola le tonalità fin quando suppone che i toni rendano gli effetti di ciò che ha visto e che la sua memoria dello sguardo di un tempo sia appagata. Dipinge un diario di viaggio dove si leggono i visi della metropoli e le suggestioni di una disperazione poetica recitata dai senza tetto e dai diseredati. Traccia i segni dell’architettura industriale obsoleta e sventrata e suggerisce ricordi di grattacieli spariti nei misteri della politica e della fatalità di una dimensione multietnica. Nello stesso tempo Carolina Marcacci Rossi fornisce le immagini di dettagli degli spazi e del paesaggio, che il più delle volte non si vedono perché sopraffatti da altri scenari patinati che inducono lo sguardo a vedere ciò che non disturba. Immagini che sembrano dimesse dalla realtà, immagini di muri, porte e graffiti che segnano i percorsi di un’umanità fuori schema e attraversano luoghi sghembi. Siti irrinunciabili per la memoria della desolazione e per l’affermazione di personaggi che esistono e resistono in condizioni di “libertà povera”.
La pittura di Carolina Marcacci Rossi tende ad essere complice di esseri umani che esibiscono la loro condizione e conduce lo sguardo su paesaggi in cui si vede il tempo che passa e fa ragionare sul tempo che resta. Disegno e pittura si fondono con il collage, svelano immagini di periferia e ombra, geografie metropolitane fuori moda e ambienti con i riflettori spenti. Una lettura di spazi urbani che si iscrivono in racconti feriti dalle disumane ambizioni e dove alla natura è stata sottratta l’anima. Carolina Marcacci Rossi rivela il soffio vitale dei “sopravvissuti della rivolta” e degli esonerati dalla civiltà dell’ingordigia.
Identifica la “fauna umana”, indicata dal dito accusatore dei benestanti come “barboni” che mettono a disagio le coscienze. E qui la domanda che sorge è un dubbio: se la libertà di chi possiede tutto è generata dalla libertà di chi esibisce fisicamente l’effigie dell’umanità che non ha più nulla da perdere, rinvia al mittente il senso di colpa?
I protagonisti delle strade della storia di Carolina, hanno toni sobri e detestano quelli sgargianti della pubblicità di regime, urlano un disperato silenzio nella cacofonia contemporanea. Sono gli attori di una società multirazziale, che recita una controinformazione e dà un diritto di visibilità a un racconto che di solito si vuol negare e si confina nei luoghi di reclusione del pensiero e della prigionia della speranza. Alcune visioni mettono in luce paesaggi disastrati dall’avidità e dimenticati dai giochi iniqui dell’alta società, che nascondono le verità che nessuno vuol sapere ma che tutti sanno. Carolina Marcacci Rossi rende omaggio al silenzio della dignità mostrando un impianto solido tra forma e contenuto. Il palcoscenico della sua pittura sono gli angoli di strade dimora della “desolazione affascinante” ed i luoghi da marciapiede abitati da chi non ha più nulla da esibire oltre al proprio corpo come specchio di una condizione reale e ultima spiaggia di vita.
Nando Snozzi 2014